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 Le giornate di Gaeta 

Storia 

Furono imprigionati, deportati e internati poveri contadini ex soldati borbonici, sacerdoti, assassini, avvocati, medici, giovani, vecchi, miseri popolani e uomini di cultura che morirono tutti di stenti al freddo dell'inverno del Nord senza coperte, senza luce, in condizioni disumane fra mille vessazioni perpetrate da chi si reputava un liberatore!
Vennero smontati anche i vetri e gli infissi delle finestre ... Denutriti e con l'animo scavato dall'odiosa e lacerante predazione savoiarda, spesso si appoggiavano a ridosso dei muraglioni, cercando di catturare un minimo calore del sole invernale; vago ricordo del clima mediterraneo.

 

si legge su un muro di ingresso del forte piemontese di Fenestrelle:

“Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce“.


In quella fortezza furono deportati 24.000 soldati napoletani che non volevano giurare per Vittorio Emanuele II

20 Marzo 1861 Dopo due giorni di terrificanti bombardamenti piemontesi (alla fine dell’assedio l’artiglieria sarda avrà tirato qualcosa come 7.860 proiettili per kg. 6.500 di polvere utilizzata), la guarnigione borbonica si arrende. Sono le ore 11 del mattino. Il maggiore Raffaele Tiscar, vice-comandante del forte, firma la capitolazione congiuntamente al ten. col. Pallavicini per la parte sabauda. i bersaglieri possono entrare in città. Alle 13,45 fu fucilato, senza processo, il sergente Messinelli (reo di aver disobbedito all’ordine di resa del gen. Della Rocca). alle 17,00 tutto lo stato maggiore sardo, con in testa Mezzacapo e la fanfara, entrava in Civitella del Tronto e nel forte veniva issata la bandiera sabauda, salutata da 21 colpi di cannone.

22 Marzo 1861 Giungeva lo sciagurato ordine del ministro della guerra piemontese Manfredo Fanti di distruggere la fortezza e la cinta muraria angioina della città. In questo modo barbarico si faceva pagare la fedeltà al vessillo borbonico e l’onore di una coraggiosa guarnigione, colpevole di aver fatto esclusivamente il proprio dovere. Molti di questi uomini furono deportati nelle carceri piemontesi di Savona e Fenestrelle da dove non fecero più ritorno.

Il 13 febbraio del 1861 cadeva la fortezza di Gaeta. 160 mila bombe rasero al suolo la CITTA' MARTIRE DEL RISORGIMENTO PIEMONTESE. I morti ammontarono a circa 4.000. Da allora iniziò una guerra civile che costò un milione di morti al Sud; da allora furono fatti emigrare 25 milioni di persone, fino al 1965. Una vera diaspora. Nemmeno gli ebrei hanno subito questo olocausto, questa diaspora in così poco tempo. Oggi l'emigrazione continua senza soluzione di continuità. Il nord sempre più ricco e il sud sempre più colonizzato. I forconi hanno cominciato a ribellarsi ... la Grecia, culla della civiltà, sta bruciando. La massoneria continua a fare i porci comodi imponendo povertà, lacrime e sangue .... Antonio Ciano

 

Il  Colonnello Ussani, il luogotenente-colonnello Nagle , che comanda le batterie Philistad , hanno offerto agli ufficiali subalterni e agli artiglieri, nobilissimi esempi di coraggio e bravura.

Se questo  diario dovesse essere un rapporto militare , dovrei scrivere una lunga lista di nomi. Abbiamo visto cose da far piangere di gioia.

Quando è stato comunicato ai marinai accasermati presso la nostra casamatta  di portarsi alle loro batterie, si sono slanciati come se andassero a una festa,  esclamando  “Viva Dio, Viva il Re”. Il mio sbalordimento era al colmo. Nel momento in cui uno  di loro veniva colpito, egli di nuovo e ancora , cadendo, esclamava “Viva o’ Rre”.  I compagni  agitavano in aria il  beretto o il proprio rosario e ripetevano “Moriremo tutti per una santa causa”. La musica degli 8° e 9° battaglioni dei Cacciatori, posti allo scoperto sulle batterie del fronte di mare, ha suonato l’Inno borbonico, che è l’inno nazionale, e valzer e  tarantelle. Il suono degli strumenti deve essere giunto fino ai bastimenti piemontesi. Su un’altra batteria  di mare si ballava con lo stesso brio come nelle notti fragranti di  Partenope. Era un delirio sublime.  Eppure questa coraggiosa gente  ha avuto la propria razione di pane e formaggio solo la sera alle cinque. L’entusiasmo doveva  sgorgare di certo dal profondo dei cuori.

La regina bruciava della voglia di salire sulla batteria Ferdinando e il Re rifiutava di acconsentire; si è rivolta al Generale barone Schumaker che ha sostenuto la sua richiesta presso il Re  e ha ottenuto il permesso, sotto la propria responsabilità.  Maria Sofia è stata accolta dai cannonieri con clamorose manifestazioni di affetto.  Una granata  piemontese, caduta in mare sotto lo spalto, ha provocato un’onda altissima e spumeggiante lasciando  ai piedi della Regina pesci  argentati.

Davanti a un’altra batteria,  una granata è sprofondata nel  mare gettando sulla riva  una grossissima  spigola.  A dispetto del fuoco nemico, un marinaio di nome Falconiere, è sceso lungo il parapetto fino alla riva e, in barba ai Piemontesi che sganciavano i loro proiettili, è risalito con il pesce.  La “spinola”  è stata  offerta  al Re che l'ha offerta  alla corte.

Le suore raccontano questo toccante fatto nell’ospedale di Santa Caterina dove sono cadute quattro bombe portando via il braccio a un uomo :  all’arrivo di ogni proiettile,  i malati si ergevano a sedere  gridando:  “Viva o Rre!”.

Si  ignorano le perdite degli assedianti ma devono essere molto più cospicue delle nostre.  

Hanno subito un grosso smacco morale. Non soltanto è stato loro tolto  l’onore di attaccare per primi  ma si è dato prova che la salvezza di Gaeta dipende da altre cause che non dalla presenza di una squadra (allude alla squadra  francese che fino a tre giorni prima difendeva  Gaeta dall’attacco dal mare ma il 19 gennaio,  per ordine di Napoleone III, si è  ritirata, con profondo rammarico del Generale di Tinant – “se i nostri cannoni avessero potuto avrebbero sparato da sè”- abbandonando Gaeta a se stessa, ndt) .  Cialdini e il conte di Persano devono capire che non è più il tempo  per la tracotanza e che non sono più davanti ad Ancona.

La giornata del 22 gennaio riscatta tutti i tradimenti passati di una parte dell’armata napoletana; è degna di essere incisa in caratteri d’oro negli annali del Reame delle Due Sicilie; farebbe onore alle più grandi nazioni militari d’Europa. Coloro che non credevano al sublime, ci credono dopo essere stati testimoni di questo giorno di combattimento . … Io dico che la città potrà essere obbligata alla resa per mancanza di viveri e munizioni ma non sarà vinta.

 

25 gennaio 1861

Scoppia l’epidemia di tifo in Gaeta.  93 soldati contagiati sono ricoverati all’ospedale di Santa Caterina e  tredici muoiono lo stesso giorno. Il 26 gennaio un altro centinaio di soldati sono affetti dal tifo; in tutto ci sono ottocento soldati  ricoverati, la stessa cifra che c’era prima del trasporto, il 19 gennaio, di 250 feriti  in Terracina.  Il 27 gennaio altri 69 malati di tifo; ne muiono quattro. Anche il farmacista dell’ospedale Santa Caterina muore di tifo quest’oggi.

Ogni sera odo i marinai vicino alla nostra casamatta recitare il rosario.  Le loro divise sono ormai  stracci, le loro facce mostrano i segni delle privazioni, fame e sfinimento; non è un bello spettacolo vederli  così ridotti ma sono fiduciosi e si battono come leoni.

28 gennaio: più di mille bombe e palle di cannoni rigati sono stati lanciati la notte precedente. 

Il 29 gennaio muore una donna incinta colpita da una palla cavalli lanciata da Mola; un’altra muore per lo stesso motivo mentre sta pettinando  sua figlia sull'uscio di casa e intanto continuano i ricoveri per tifo in numero di circa 60 al giorno e ne muoiono in media cinque al giorno.

31 gennaio, mentre si trasporta un ferito in barella che passa davanti a un gruppo di marinai, gli sguardi di questi   seguono la barella e sembrano dire “Sarà il nostro turno domani”. Nonostante le dolorose prove a cui sono sottoposti,  i marinai  si mettono a cantare con buffe pantomime una canzone popolare che invita Vittorio Emanuele a ritornarsene a Torino e termina con le parole “Viva Franceschiello il nostro Re”.

31 gennaio:  si ammalano di tifo 6 generali e poi  undici suore che accudivano i feriti e malati all’ospedale di Santa Caterina.  Si muore sugli spalti per le bombe, si muore negli ospedali di tifo e ferite, una media di 20 al giorno.

5 febbraio: esplode la riserva di munizioni della batteria San Giacomo e più tardi le polveriere della batteria Cittadella e Sant’Antonio; pietre e rocce si sono colluse fra di loro in aria, i rumori sono stati spaventosi. Quando si dissipano le tenebre delle esplosioni, è sparita la porta di terra, è sparito il corpo di guardia, sono spariti  di uomini  a centinaia. 

Continua la morte dappertutto.

11 febbraio : Ho incontrato questa sera su una batteria di cui non ricordo il nome un sottoluogotenente di 15 o 16 anni che serviva da solo con due uomini quattro cannoni caricando puntando e tirando con rabbia . Questo bravo e coraggioso ragazzo fa di nome Rossi. Ha un fratello che come lui si è distinto durante tutto l’assedio.  

12 febbraio: In piedi sono rimaste soltanto tre suore di carità, le altre sono gravemente malate. I poveri  feriti e ammalati mancano del soccorso necessario. E la maggior parte degli amputati muoiono.  Si trovano ormai negli ospedali più di mille feriti e malati di tifo. Appena la metà delle batterie sostengono il fuoco. Sanno che l’eroismo  diventa vano ma ciascuno compie il proprio dovere. Si continua a combattere soltanto per morire. Si muore semplicemente, oscuratamente. I nomi di queste vittime  rimarranno quasi tutti sconosciuti ma la coscienza è soddisfatta.

Ah!  Colui che avrà un conto terribile da rendere a Dio, è l’autore di questo bombardamento selvaggio, è Cialdini.  Lo chiedo in nome dell’umanità oltraggiata, perché distruggere una città che offre la resa? Perché accanirsi contro una guarnigione  pronta a deporre le armi? Perché tanto spargimento di sangue, perché tante rovine senza  utilità alcuna mentre si negozia la capitolazione? Cialdini approfitta e gioisce dei suoi cannoni rigati. Questa è una piazza il cui assedio finirà senza che il nemico abbia aperto una sola trincea, senza che l’assediante si sia avvicinato a meno di 1500 metri! Quando i Francesi nel 1806 assediarono Gaeta si avvicinarono a 500 metri e risparmiarono la città e se la memoria non mi inganna più di un generale francese seppe sacrificarsi nelle trincee. Ma Cialdini fa colazione, pranza e cena tranquillo a Castellone, nella villa regale, a più di cinque kilometri  da Gaeta!  

Gli assedianti hanno sparato più di sessantamila proiettili in due giorni, sessantamila proiettili tra la richiesta della capitolazione e la firma. Le vittime di questi  sessantamila  proiettili gridano vendetta  contro Cialdini.

Alle quattro abbiamo risentito una scossa come di terremoto e una detonazione agghiacciante ha squarciato echi della montagna: la grande riserva di polvere posta nella batteria Transilvania colpita dalle palle dei cannoni rigati era esplosa, nello stesso momento la batteria Malpasso, la batteria Picco Malpasso venivano lanciate in aria e ricadendo creavano una vasta voragine.  Ufficiali, artiglieri, cannoni, tutto è sparito. La morte ha colpito fino a una lunga distanza dal luogo del sinistro. Per il colmo della disgrazia la bomba è penetrata nell’ospedale dell’Annunziata e ha ucciso i malati.

Si chiederà, ora, se l’onore è salvo? Da molto tempo l’onore è salvo.  

Per i tanti bravi che hanno sofferto accettando la morte con inalterabile resistenza e grandiosa semplicità, per una città che si è difesa per  cento giorni  con  risorse esigue, sproporzionate rispetto a quelle vantagiose del nemico , io, straniero, semplice testimone, affermo  che l’assedio di Gaeta ha scritto una delle pagine più ammirevoli della storia contemporanea.  La gloria è non dei vincitori  ma per i vinti e ogni  uomo di cuore  si inchinerà con rispetto  davanti a questa guarnigione come davanti a Maestà Regali .

Vorrei  poter  porgere un  elogio a tutti quelli che si sono distinti in modo speciale; ciò mi è impossibile, sono troppi. E chiedo perdono a quelli che non verranno citati.  Fra quelli che meglio ricordo al primo rango devo  nominare:

 il Generale Riedmatten,  poteva venir ucciso cento volte per come si esponeva assolvendo le sue responsabilità; Lautrec  appena promosso al grado di maggiore e Urbain de Charette i suoi aiutanti di campo che hanno suscitato l’ammirazione universale.

Ecco una lista di nomi che hanno tutto il diritto a essere scritti in lettere d’oro:

Il colonnello Gabriele Ussani;  il luogotenente  colonnello Nagle;  il Capitano De Paolis;  il Capitano Starace; il Capitano La Marcese;  il Maggiore Solofra;  il Capitano Leonardis;  il Colonnello Alfan De Rivera, direttore dell’arsenale;  il Capitano De Filippis; il Maggiore Steiner;  il Maggiore Vieland;  il Luogotenente  Sutter;  Anfora  promosso  Tenente Colonnello e che non ha venticinque anni;  il Capitano Uhde, ufficiale dell’armata pontificia, citato con onore nel rapporto  del Generale Lamorcière e che è venuto apposta per  prendere il comando di una batteria del fronte di mare;  il Capitano Tabacchi; il luogo tenete Tarsia; i due giovanissimi  fratelli Rossi. Questi Signori sono tutti ufficiali d’artiglieria. Di nuovo chiedo perdono ai moltissimi altri che non riesco a citare di cui non ricordo il nome.  

Ma i primi eroi dell’assedio, il cui coraggio e ardimento  ha resi  i loro nomi popolari in tutta Europa sono:  il Re e la Regina, i conti di Trani e di Caserta.  I principi della stirpe di Enrico IV  hanno  trasalito nelle  tombe di Saint Denis.  Non si dirà mai abbastanza  sulla loro grandezza d’animo. Avrei potuto, in questo diario, moltiplicare gli aneddoti . Non ho voluto aggiungere ulteriori ornamenti  al piedestallo sul quale si ergono oggi  i Borbone di Napoli  al cospetto degli altri sovrani di Europa sbalorditi.

 

testo offerto dal laborioso studio di ricerca di  Rosalba Valente

 

14 febbraio: a mattina in Gaeta, firmata il giorno precedente la resa, Francesco II emana congedo alle sue truppe. Questo è il messaggio del Re dell'arrivederci:

"Generali, Ufficiali e Soldati dell'Armata di Gaeta, La fortuna della guerra ci separa. Dopo cinque mesi nei quali abbiamo combattuto insieme per la indipendenza della Patria, dividendo gli stessi pericoli, soffrendo le stesse privazioni, è giunto per me il momento di mettere un termine ai vostri eroici sacrifici. Era divenuta impossibile la resistenza, e se il mio desiderio di soldato era difendere con voi l'ultimo baluardo della Monarchia fino a cadere sotto le mura crollanti di Gaeta, il mio dovere di Re, il mio amore di Padre, mi comandano oggi di risparmiare un sangue generoso, la cui effusioni nelle circostanze attuali non sarebbe che l'ultima manifestazione di un inutile eroismo. Per voi, mei fidi compagni d'arme, per pensare al vostro avvenire, per le considerazioni che meritano la vostra lealtà, la vostra costanza, la vostra bravura, per voi rinunzio all'ambizione militare di respingere gli ultimi assalti di un nemico, che non avrebbe presa la Piazza, difesa da tali soldati, senza seminar di morti il suo cammino. Militi dell'Armata di Gaeta, da dieci mesi combattete con impareggiabile coraggio. Il tradimento interno, l'attacco delle bande rivoluzionarie di stranieri, l'aggressione di una Potenza che si che si diceva amica, niente ha potuto domare la vostra bravura, stancare la vostra costanza. In mezzo alle sofferenze di ogni genere, traversando i campi di battaglia, affrontando il tradimento, più terribile che il ferro e il piombo, siete venuti (ndr: più di due adolescenti scapparono dalla Nunziatella per raggiungere il Re a Geata, e da ogni parte del regno accorsero soldati sbandati, traditi dai loro generali datisi al nemico; erano talmente numerosi che non c'era posto per accoglierli tutti in Gaeta) a Capua e a Gaeta, segnando il vostro eroismo sulle rive del Volturno, sulle sponde del Garigliano sfidando per tre mesi dentro a queste mura gli sforzi di un nemico che disponeva di tutte le risorsed'Italia. Grazie a voi è salvo l'onore dell'Armata delle Due Sicilie; grazie a voi può alzare la testa con orgoglio il vostro Sovrano; e sulla terra di esilio, in che aspetterà la giustizia del Cielo, la memoria dell'eroica lealtà dei suoi Soldati, sarà la più dolce consolazione delle sue sventure. Una medaglia speciale vi sarà distribuuita per ricordare l'assedio; e quando ritorneranno i miei cari Soldati nel seno delle loro famiglie, tutti gli uomini di onore chineranno la testa al loro passo, e le madri mostreranno come esempio ai figli i bravi diffensori di Gaeta. Generali, Ufficiali e Soldati, vi ringrazio tutti: a tutti stringo la mano con effusione di affetto e riconoscenza. Non vi dico addio, ma arrivederci. Conservatemi intatta la vostra lealtà, come vi conserverà eternamente la sua gratitudine e la sua affezione il vostro Re".

Francesco.
 

testo offerto dal laborioso studio di ricerca di  Rosalba Valente

 

Estratto da "Lettere napolitane, Pietro Ulloa (ministro di Francesco II in Gaeta ed esilio)

 

La Mouette comparve. Allora il Re e la Regina ... seguiti da Principi, Ministri, Generali, gentiluomini e da un gran numero di uffiziali di ogni arma e grado, passando immezzo alla guarnigione che era schierata in battaglia fino alla porta di mare.
I soldati laceri e defatigati con gli occhi abbattuti presentavano le armi e la musica dei reggimenti suonava la marcia reale. Quest'inno, opera del Paesiello, durante il bombardamento si suonò continuamente, ed allora questo pezzo d'armonia faceva un contrasto doloroso col rumore spaventevole delle artiglierie0, ma in questo momento solenne queste note cosi armoniose e tenere, fecero altra impressione, poichè ricordavano ben altri giorni, talchè l'emozione diventò generale, e le lagrime sgorgarono dagli occhi di tutti.
I soldati gridando viva il Re non facevano sentire che suoni rauchi misti a singulti, e la popolazione esposta a dure prove durante il combattimento, si precipitò allora sui passi del Re per baciargli chi le mani e chi gli abiti, e parte di essa dall'alto dei balconi, convulsa, agitava i bianchi fazzoletti come affettuoso segnale dell' estremo addio. I soldati si prostravano singhiozzando dinanzi al Re, e gli uffiziali oppressi dallo stesso dolore si gettavano nelle braccia dei loro soldati scambievolmente abbracciandosi; e di quest'ultimi vi furon molti che strappandosi le spallette, ruppero le spade e le gittarono al suolo.
La commozione era sì generale e profonda che non si sapeva più altrimenti esprimere
Il Re si commosse altamente del dolore universale, ma serbando la più perfetta eguaglianza d'animo, non pareva di altro occupato - che a consolare i suoi soldati e a mitigarne il dolore
Egli non poteva aprirsi il varco in mezzo a coloro che da tutte parti lo circondavano, e alla giovin Regina per questo fatto spuntarono per la prima volta le lagrime dagli occhi.
Alla perfine il Re uscendo dalla porta di mare salutò colla mano i suoi eroici soldati, e s' imbarcò col suo seguito e con quei Francesi che fino allora s'erano a suo servizio dedicati e con tale annegazione e bravura da potersi chiamare temerità. quando il Re lasciò il porto una batteria rese gli ultimi onori al Re con 31 colpi di cannone.
Il rumore del cannone si inalzò per l'aere come il singhiozzo del moribondo; le grida di viva il Re! spinte dai cannonieri nel momento in che abbassavasi la bandiera Napolitana ci strinsero il cuore; poichè sembravaci quella bandiera un funereo lenzuolo che si gittava sulla Monarchia di Carlo III. e gli stessi francesi della Mouette erano commossi come i napolitani
Ed in tal mòdo, Signor Barone, si è terminata la resitenza di Gaeta, il più memorabile avvenimento dell'invasione del Regno. Essa ha avuta una durata di tre mesi e mezzo, e nessun giorno è passato senza che gli assedianti non avessero fatto qualche sforzo per sottomettere la Piazza, dal cui destino sapevano ... dipendeva il destino dell'Italia. La difesa fu vigorosa ed ostinata, degna della causa, di un migliore successo. La piazza ha lottato contro le macchine inventate dalla moderna balistica, e sola la costanza e la divozione della guarnigione han potuto bilanciare la gran superiorità delle armi
Il mondo ha contati i giorni della difesa, ma ignora ancora tutte le sofferenze ed i pericoli affrontati dalla Real Famiglia , dai Ministri, dai gentiluomini e dalla guarnigione che difendeva l'ultimo baluardo della indipendenza Nazionale. La guarnigione se ha dovuto cedere, esige però rispetto dal nemico, che deve ammirarne il suo coraggio.

 

testo offerto dal laborioso studio di ricerca di  Rosalba Valente

 

Eroi della propria Patria, conosciuti da Cristo

 

22 gennaio 1861 : GRANDE E GLORIOSA GIORNATA IN GAETA

Alle nove, un colpo di cannone dalla batteria Regina ha dato il segnale e in un istante, contemporaneamente ,   da tutte batterie del fronte di terra si è iniziato a cannoneggiare con spaventoso fracasso.  Il nemico ha risposto subito con le sue quindici batterie.  In poco tempo  la loro batteria posta dietro i Capuccini, a 1500 metri, cioè la più vicina, è stata ridotta al silenzio.  Due o tre batterie nemiche del fronte di mare si sono unite  a quelle di terra . I cannoni di Gaeta, allora, si sono rivolti  verso queste altre  posizioni nemiche con fuoco imponente.  Le palle di cannone  e le granate hanno colpito una fregata e due cannoniere e un cannone rigato è scoppiato su una delle navi  e così la squadra navale  ha dovuto indietreggiare fuori dalla portata dal fuoco dei nostri.

Le navi si sono dirette poi verso monte Orlando ma colpivano le rocce più sovente che le batterie; poi ancora ritornavano ma tutti i loro colpi cadevano in mare suscitando l’ilarità degli artiglieri napolitani.

Alle cinque di sera, su ordine del Sovrano,  per far riposare gli artiglieri e i pezzi  arroventati  dopo otto ore di fuoco , il fronte di terra  ha cessato di cannoneggiare  e lanciato granate  mentre  gli assedianti hanno continuato  a bombardare fino a notte inoltrata.  La squadra marina  si è allontanata  col calare del buio  raggiungendo la rada di Mola.

Nello spazio di otto ore la piazza ha lanciato circa undicimila colpi con notevole precisione .

Si stimano fra gli undici o dodici mila, i proiettili di ogni specie lanciati dagli assedianti.

Le nostre perdite contano una ventina di morti, fra cui il Maggiore Solimene, comandante la batteria Sant’Antonio, e centodieci feriti . Il capitano De Filippis, comandante la batteria Dente di Sega Sant’Antonio, è stato ferito sette volte, nessuna ferita con pericolo di morte; i suoi abiti sono ridotti a piccoli brandelli.  

La sola batteria Regina ha tirato più di duemila  colpi e conta 29 feriti e 2 morti. Qui, i proiettili nemici sono arrivati in tale quantità che per più di 50 volte pietre e terra sono penetrate fin nelle nostre casematte.

Alcuni civili sono morti fra cui una donna che stava allattando il suo piccolo.

12 o 15 affusti sono stati distrutti e due cannoni messi fuori uso. 

Quattrocento  camicie destinate ai malati sono bruciate nel vecchio ospedale di San Francesco; una perdita enorme dato la scarsità  dei rifornimenti.

Il  fuoco vicino alla polveriera San Giacomo, che rischiava di saltare , è stato prontamente spento.

Ufficiali e soldati hanno adempiuto al proprio dovere in maniera ammirevole.  Tutti si sono prodigati solerti  con sprezzo del pericolo, anche quelli che non erano di servizio in questo giorno. 

Difficile citare chi si è meglio distinto . Non posso tuttavia dispensarmi dal raccontare che per tutto il giorno il Generale Riedmatten si è esposto con  abnegazione magnifica; non vi è batteria che non abbia visitato sotto il fuoco più violento e dove non si sia fermato con imperturbabile sangue freddo.

Durante la corta traversata da Gaeta a Terracina, il Re e i principi suoi fratelli hanno mantenuto un contegno di ammirevole quiete degnandosi di parlare con ognuno di noi. La Regina si trattenuta a lungo da sola sul dietro della nave, gomiti appoggiati sul parapetto, contemplando a lungo gli scogli di Gaeta. Nel momento in cui i Francesi pranzavano nel salone, il Re è comparso sulla soglia e ci ha detto con la sua seducente affabilità "Buon appetito". Ci siamo alzati, ma sua Maestà si è eclissata. "Ecco i tiranni! - ha detto uno di noi quando ci siamo rimessi a tavola - il più infimo dei borghesi mostra boria per cento volte di più!"

Alle otto del mattino ..l'imbarcazione francese la “Mouette”, mandata da Napoli, arrivava nella rada di Gaeta. Le truppe Napolitane erano disposte in riga dalla casamatta del Re fino alla porta di mare; è un percorso di nemmeno trecento passi.

la musica suonava la marcia reale; il suo andamento malinconico suscitava un brivido tra la folla che riempiva la spianata della Gran Guardia. Non saprei descrivere il carattere di augusta semplicità, di grandezza e di tristezza che questa scena offriva. I soldati stracciati, spossati dalla fatica, presentavano per l'ultima volta le armi al proprio sovrano e grosse lacrime solcavano i visi. L'espressione del dolore generale diventava più intenso a mano a mano che si procedeva verso la porta di mare. Si accorreva per baciare la mano del RE. Ben presto i singhiozzi si spargevano per le strade. Il popolo, tanto crudelmente provato durante l'assedio, la popolazione decimata con le case devastate, dimenticava le proprie disgrazie per piangere quella dei suoi prìncipi. Il Re, dimagrito tantissimo,

Il Re dimagrito tantissimo, era pallidissimo; nei suoi tratti affiorava l'emozione dell'anima. Mi si stringeva il cuore ... sì, anch'io ho pianto ... mi sono allontanato in una stradina per sfogare le lacrime. Nel momento in cui le Loro Maestà varcavano la porta di mare, l'acclamazione "VIVA IL RE!" lanciata dal popolo e dalla guarnigione, salutava colui che si era voluto far passare per tiranno... sulla Mouette ufficiali e marinai rendevano onore alle Loro Maestà ; erano in gran tenuta. Un centinaio di persone, ambasciatori, ministri, generali e ufficiali ... salirono a bordo

e sfuggivano così a Cialdini che aveva proferito volgari minacce nei loro confronti. Cialdini aveva chiesto la lista delle persone imbarcate, ma non osò alzare alcuna obbiezione. Ho avuto anch'io l'onore di essere ammesso sul bastimento... Quando le ruote del vapore hanno iniziato a girare, la batteria del porto salutava il Monarca con ventuno colpi di cannone; una grande bandiera inalberata sul bastione si è abbassata tre volte lentamente e poi è stata tolta dallo spalto. La guarnigione ammassata sulla spianata della batteria, ha riecheggiato "Viva o' Rre!" fino a quando la Mouette non ha virato dietro gli scogli della Trinità.

a cura di Rosalba Valente

"Vivessi secoli, questo giorno non potrebbe essere cancellato dai miei ricordi" (charles Garnier)

Un sentito e doveroso ringraziamento agli autori delle ricerche storiche, come il prestigioso recupero documentale ad opera della professoressa Rosalba Valente, le cui ricerche hanno consentito ad altri studiosi la mgliore comprensione e divulgazione delle vicende della real Casa dei Borbone in terra del sud.

La storia di quasi mille anni

Dal 1130 fino al 1861 il Meridione della penisola italica è stato governato da diverse dinastie (Normanni, Svevi, Aragonesi, Angioini, Borbone...). Tutte queste dinastie preservarono l'unità

del Regno con Napoli e/o Palermo capitali.

a cura del dott. Giovanni Greco

Segue una tesi di laurea (estratto) sui processi industriali della città di Lecce dal 1800 al 1900: l'illuminazione cittadina a carbone, a petrolio, a gas di petrolio (1873) ed elettrica; la tramvia elettrica di Lecce (1898-1933).​

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di Giovanni Greco

 

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10, 11, 12 E 13 FEBBRAIO 1861 : LE ULTIME GIORNATE DELLA RESISTENZA ALL'INVASIONE SAVOIA. L'INIZIO DELLA QUESTIONE MERIDIONALE

Dalla Shoah alle Foibe si ripetono ogni anno le giornate della memoria. Però gli italiani hanno il vizio di avere la memoria corta. La loro memoria non arriva al periodo compreso tra il 1860 ed il 1870, quando circa 1 milione di meridionali (secondo le stime fornite da Civiltà Cattolica) vennero trucidati dall'esercito piemontese.Nel 1861 il Piemonte, per conto di Mr. Albert Pike, Gran Maestro Venerabile della massoneria di Londra, iniziava il più grande genocidio e prima pulizia etnica della storia del nostro paese.Per 10 anni il Meridione divenne un inferno: cannoni contro città indifese; fuoco appiccato alle case, ai campi; baionette conficcate nelle carni dei giovani, dei preti, dei contadini; donne incinte violentate, sgozzate; bambini trucidati; vecchi falciati al suolo.Ruberie, chiese invase, saccheggiati, i loro tesori rubati, quadri, statue trafugate, monumenti abbattuti, libri bruciati, scuole chiuse per decreto. La fucilazione di massa divenne pratica quotidiana. In dieci anni dal 1861 al 1871 circa novecentomila cittadini furono uccisi su una popolazione complessiva di 9.117.050. Mai nessuna statistica fu data dai governi piemontesi. Nessuno doveva sapere. Alcuni giornali stranieri pubblicarono delle cifre terrificanti: dal settembre del 1860 all’agosto del 1861 vi furono 8.968 fucilati, 10.604 feriti, 6.112 prigionieri, 64 sacerdoti, 22 frati, 60 ragazzi e 50 donne uccisi, 13.529 arrestati, 918 case incendiate e 6 paesi dati a fuoco, 3.000 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 1.428 comuni sollevati. All’estero doveva apparire tutto tranquillo e mai giornalista fu ammesso a constatare ciò che stava accadendo nelle province meridionali.Facciamo diventare, allora, il 13 febbraio il giorno della memoria del popolo meridionale, affinché ogni figlio della nostra terra sappia la verità e la memoria delle terribili storie, ci possa aiutare a costruire un futuro migliore. Un futuro in cui quelle atrocità non si ripetano mai più!

a cura di Giovanni Greco

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