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Pitagora
Samo, 570 a.C. - Metaponto, 496 a.C.

Il filosofo ionico visse nel VI secolo a.C., nacque a Samo in Grecia nel 570 a.C. e morì a Metaponto nel 496 a.C.
Fu uno dei più grandi filosofi, matematici e moralisti dell'antichità, predicava la libertà e l'uguaglianza, la tolleranza e il rispetto. Quale creatore della parola filosofica, cioé amore della saggezza, Pitagora volle dimostrare che l'uomo deve tendere con ogni sforzo ad una elevazione morale. Le regole della dottrina e le prescrizioni della condotta dell'uomo sono articoli di fede che formano il catechismo del perfetto pitagorico cui si aggiungeva la promessa di una vita eterna dopo la morte. Pitagora elaborò la tavola pitagorica e nella geometria il famoso teorema di Pitagora.
Dopo aver viaggiato in Egitto e Babilonia, si stabilì a Crotone nel 530 a.C. dove diede inizio ad una setta filosofico-politica, che ebbe notevole influenza sulla Magna Grecia e che porta il suo nome. In seguito si trasferì a Metaponto dove visse e morì.
Ebbe dunque nella Magna Grecia i suoi discepoli che applicarono nei vari campi dello scibile i suoi insegnamenti. Anche se non è rimasto nulla dei suoi scritti, i primi a parlarne furono Filolao di Taranto, Senofane suo contemporaneo, Eraclito ed Erodoto. A Taranto l'esponente più significativo della scuola pitagorica fu il grande Archita, scienziato ed uomo politico amico di Platone, impresse alla città quel sistema moderno di vita civile che causò la sua rovina e quella della sua città.

FONTI

  • Enciclopedia Zanichelli, Milano, 'La Repubblica', 1995

A cura del dott. Giovanni Greco

Filolao
450 a.C. - 400 ca. a.C.

Nel 450 a.C. opera a Taranto Filolao (Crotone 470 ca - 400 ca a.C.), astronomo, matematico e filosofo, il primo a diffondere per iscritto la conoscenza delle dottrine pitagoriche, che influenzeranno il pensiero di Platone. Filolao formulò una teoria cosmologica con  un universo con due fuochi, secondo cui la Terra ruota su una sfera celeste attorno a un punto centrale dell'universo, così come il Sole, i pianeti, le stelle e l'antiterra che non è mai osservabile perché la Terra è sempre rivolta verso l'Olimpo.

FONTI

  • Enciclopedia Zanichelli, Milano, 'La Repubblica', 1995

A cura del dott. Giovanni Greco

Marco Pacuvio
Brindisi 220 a.C. - Taranto 130 a.C.

Secondo Cicerone fu il sommo tra i poeti tragici latini. Era nipote di Quinto Ennio (figlio di una sorella del rudiano). Nacque a Brindisi nel 220-130 a.C. e morì a Taranto quasi novantenne. Non era latino ma apparteneva al popolo che i romani avevano potuto vincere e colonizzare solo attraverso due durissime campagne militari riuscendo a ottenere il controllo dell'importante scalo portuale di Brindisi. Grande fama gli venne dall'attività letteraria che sviluppò nell'ambito del circolo culturale di Scipione l'Emiliano. Il gruppo "vedeva nell'apertura alla cultura ellenica un fattore decisivo di sprovincializzazione della classe dirigente romana, che l'avrebbe messa in grado di assolvere degnamente la sua vocazione imperiale". Scrisse una Praetexta (tragedia di argomento romano) il Paulus che celebrava la vittoria di L. Paolo Emilio su Perseo a Pidna nel 168 a.C. e alcune satire. Non sappiamo se ha scritto sulla Puglia, ma sentì la nostalgia della sua terra come dimostra il fatto che ad ottant'anni si ritirò a Taranto dove morì dieci anni dopo.

FONTI

  • Concittadini, fascicoli allegati del Quotidiano di Lecce, dicembre 1995

  • Enciclopedia Zanichelli, Milano, 'La Repubblica', 1995

A cura del dott. Giovanni Greco

Parco Letterario del Salento

Antonio De Ferraris, detto il "Galateo" - Villa Comunale di Lecce, Opera del Maccagnani eseguita negli anni '80 dell'Ottocento.


Galatone, 1444 - Lecce, 1517

Detto Galateo perché nato a Galatone, umanista salentino, fu uno dei più insigni scrittori del 1400, filosofo, storico, filologo, matematico, geografo, grecista, ma sopratutto medico (aveva appreso le teorie e gli insegnamenti di grandi medici del passato: Ippocrate, Galeno, Discoride, Paolo d'Egina e Serapione il Vechio). Fu medico e segretario degli Aragonesi. Nel Galateo convivono lo spirito della rinascita umanistica e il sogno d'una grandezza perduta. La sua opera maggiore è Heremita , un'aspra satira contro la corruzione degli istituti ecclesiastici. La dichiarazione posta in apertura d'una sua epistola contenuta nel suo 'De situ Iapygiae', rende bene l'idea del suo valore culturale e letterario:

"Otranto, Gallipoli, Nardò, Galatone, città d'origine della mia antica stirpe, Brindisi, Taranto, Metaponto, Eraclea, Turi, Sibari, Crotone, Locri, Reggio, Messina, Siracusa: queste città, una volta, erano importanti come quelle che ora, in Italia, sono considerate le più illustri. Qui, da Ferecide di Siro, nacque la filosofia italica, qui fiorì la scuola pitagorica, qui presso i Greci (lo testimonia Aristotele), si ebbero i primi costumi e le prime norme del vivere civile, i primi cenacoli. Furono i Turii i primi a promulgare leggi scritte e presso di loro Erodoto, il padre della storia greca, onorò la Musa con i suoi scritti. Oggi tutto è andato in rovina nel lungo durare del tempo; al presente la Fortuna, volubile e sfuggente, che mescola e sconvolge tutto, che le sorti degli uomini e gli stessi imperi guida a suo piacimento, ha rivolto altrove i suoi doni [...] So che questa penisola è stata denominata di volta in volta con appellativi diversi dai vari autori: alcuni, come Aristotele ed Erodoto, la chiamarono Iapigia, altri Salentina, altri Peucezia, altri Messapia dal nome del duce Messapo, altri Magna Grecia, altri Apulia [...]. Tanto mutano e discordano i nomi e le circostanze ". In quest'opera il Galateo segnala per la prima volta alcune fortificazioni messapiche quali ad esempio Muro Leccese.

Opere:

Sono tutte di carattere letterario

De Situ Japigiae

Hanno scritto di lui:

Giuseppe Boccanera da Macerata, in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli,

Tip. Nicola Gervasi, Napoli 1814 (ristampa an. in Biografia degli uomini illustri salentini, Edizione del Grifo, Lecce 1990)

 

FONTI

  • Antonio DE FERRARIS (Il Galateo), Epistole. Ed. crit. a c. di A. Altamura. 1959.

  • Enciclopedia Zanichelli, Milano, 'La Repubblica', 1995.

  • Biblioteca Provinciale, Scrittori salentini, "Numero Unico per le feste inaugurali nel giugno 1898".

A cura del dott. Giovanni Greco

Lucio Livio Andronico
Lirica latina - Taranto, III secolo a.C.

Lucio Livio Andronico nacque a Taranto intorno al 284 a.C. e morì verso il 200 a.C. È il primo poeta latino a noi noto che introdusse nella capitale il metro classico greco. Di lui abbiamo solo i titoli di nove tragedie: Achilles, Aiax Mastingoforus (la sferza di Aiace), Equos Troianus, Aegistus Hermion, Hermiona, Andromeda, Danae, Imo, Tereus; e abbiamo anche i titoli di tre commedie: Gladiolus, Ludis, Verpus (?). Fece conoscere ai romani le opere della poesia greca, prima fra tutte l'Odyssia.. Dopo di lui Ennio dotato di maggiori capacità perfezionerà le forme letterarie. Si tramanda che il poeta si ritirasse in meditazione lungo la costa adriatica del Salento. Fu condotto schiavo a Roma, forse da fanciullo nel 272, quando l'esercito di Pirro lasciò la città mantenedovi solo una guarnigione di soldati dell'Epiro che si arresero ai romani.

LE OPERE

Achilles,
Aiax Mastingoforus
(la sferza di Aiace),
Equos Troianus,
Aegistus Hermion,
Hermiona, Andromeda,
Danae, Imo, Tereus, Gladiolus, Ludis, Verpus

 

A cura del dott. Giovanni Greco

Matteo Tafuri
Soleto, 1452 (?)
Soleto, 8 ago 1492 – Soleto, 18 nov 1584
 

Filosofo, alchimista, letterato, medico, poeta, teologo, astronomo, matematico e astrologo.  XV e XVI sec.

Meglio conosciuto come il "Socrate di Soleto", Matteo Tafuri, alchimista, filosofo, astronomo, astrologo e scienziato, nacque a Soleto nel 1452. Allievo del noto grecista Sergio Stiso di Zollino. Visse molto tempo all'estero: si laureò in Francia alla Sorbona; e ancora visse n Germania, Spagna, Asia minore, Africa settentrionale etc. Fu consigliere delle più grandi famiglie del Regno. Alla corte parigina, fu in contatto con gli ermetici del tempo. Poi tornò a Soleto dove insegnò latino, greco, letteratura, fisica e matematica. L'Inquisizione lo accusò di stregoneria. E ancora oggi, presso la sua casa del centro storico di Soleto,  si legge l'iscrizione: "umile son et umiltà me basta. Dragon diventaro se alcun me tasta".

La leggenda, gli attribuisce la costruzione della guglia di Soleto, eseguita in una notte per magia dal mago Tafuri. La leggenda dice che la Guglia Orsini (il campanile di Soleto)  fu eseguita dal nulla dal Tafuri in una notte sola aiutato da alcuni demoni e streghe. Le streghe scolpirono le sculture; i diavoli alati, alla luce delle fiaccole, avrebbero trasportato massi, colonne, architravi. Al canto del gallo quattro diavoli rimasero pietrificati ai quattro angoli del campanile ed ancora oggi visibili.

A cura del dott. Giovanni Greco

 

da Wikipedia
http://it.wikipedia.org/wiki/Matteo_Tafuri

Fu un versatile e bizzarro ingegno, che dopo studi universitari a Napoli, Parigi, Salamanca si ritirò nella sua natia Soleto (nel Salento) dove aveva un cenacolo di allievi filosofi del platonismo esoterico. BiografiaIl "Socrate di Soleto", illustre rappresentante del Rinascimento, fu una personalità eclettica ed un affascinante intellettuale dei suoi tempi, amante della conoscenza e studioso e di molteplici campi del sapere: alchimia, filosofia, astronomia, astrologia, medicina, fisiognomica, magia naturale. Al centro dei suoi interessi vi era l'interesse e lo studio dei fenomeni della Natura, l'Anima del Mondo, il miracolo e le meraviglie del Creato e l'unicità irripetibile di ogni Essere Umano.Considerato alla stregua di un "Nostradamus salentino" fu onorato e temuto per le sue capacità divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli poteri occulti e demonologici. Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova nel dipinto del 1580 (ad opera del galatinese Lavinio Zappa) della Madonna del Rosario nella navata sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Fu sepolto dapprima nella chiesetta di "S.Lorenzo (delli Tafuri)" adiacente alla sua abitazione e poi, dopo la demolizione della cappella nel 1672, nel Monastero di San Nicola in una cassa di legno con lo stemma della famiglia.Sull'architrave della sua casa natale è inciso il motto:
«HUMILE SO ET HUMILTA' ME BASTA. DRAGON DIVENTARO' SE ALCUN ME TASTA»
Con quest'iscrizione Matteo Tafuri esprimeva e manifestava ai cittadini e a chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali poteva trasformarsi, ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto del Cinquecento era diffusa la consuetudine di incidere sulle architravi delle finestre, sui cornicioni dei balconi o all'interno di uno stemma, delle epigrafi con la finalità di motto. Un proverbio, una citazione, un passo letterario, filosofico, o religioso, e un pensiero personale descrivevano la personalità e le attitudini del padrone di casa o invitavano il passante a riflettere su un tema o un monito saggio e profondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Lo stemma della famiglia, presente sulla porta della casa natia, è costituito da un albero di quercia con due fulmini che si scagliano contro ma non lo colpiscono. Un'aquila bicipite scolpita sopra fa pensare ad un'origine albanese della famiglia già presente a Soleto nel XIV sec. Infatti molte famiglie albanesi e greche di confessione cristiano-ortodossa e cattolica dal XIII al XVI sec. furono costrette a fuggire ed alcune emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei Turchi mussulmani che occupavano i loro territori. "Del salentin suol gloria ed onore" lo definisce il De Tommasi. E davvero egli fu, tra i molti filosofi, scienziati ed eruditi che fiorirono in Puglia tra la metà del XV secolo e l'inizio del XVII, il più universalmente noto. Partito da Soleto per Napoli poco più che ventenne, per approfondirsi nella matematica e nella medicina dopo la preparazione umanistica ricevuta a Zollino da Sergio Stiso, vi tornò avanti negli anni, famoso in tutto il mondo e pieno di gloria. Desideroso solo di pace fisica e mentale, aprì una pubblica scuola di greco, latino, matematica, fisica e medicina.

Giulio Cesare Vanini
Taurisano 1585 - Tolosa 1619

Villa Comunale di Lecce, Opera del Maccagnani eseguita negli anni '80 dell'Ottocento

FILOSOFO. Fu uno dei precursori del naturalismo moderno, nato a Taurisano nel 1585 e morto in Francia con l'Inquisizione nel 1619. Il suo 'naturalismo' lo spinse a raffrontarsi con le massime autorità politiche e religiose di Napoli, Venezia, Londra, Madrid, Bruxelles, Parigi, Roma, Tolosa. Nel 1600 lo snodo commerciale della Terra d'Otranto, era aperto alle rotte col vicino Oriente e con Venezia. Vanini, che proveniva da questa cultura italiana meridionale economicamente avanzata, è stato uno dei grandi viaggiatori nell'Europa riformata, conobbe molte persone e visitò molti luoghi. Rafforzando l'integrazione sociale del suo tempo, ha rappresentato un confronto culturale fra gli aspetti e i costumi della sua terra con analoghe esperienze europee. Sommo filosofo si laureò a Napoli nel 1606 in utroque jure - diritto civile e diritto canonico. Viaggiò nel Salento lungo gli assi viari di Taranto, Gallipoli, Ugento, Otranto e Castro; in Italia, Svizzera, Germania, Belgio e Olanda. Infine si stabilì in Inghilterra dove abiurò la fede cattolica per abbracciare l'anglicana. Dopo essere stato rinchiuso nella Torre di Londra, tornò in Italia attirando le maldicenze del popolo superstizioso, che lo definì: "Corifeo degli Atei, capital nemico di ogni religione". Così si trasferì a Lione e nel 1615 pubblicò l'Amphitheatrum Aeternae Providentiae, in cui affrontava la questione delle prove dell'esistenza di Dio e i dubbi circa la divina Provvidenza. Andrà poi a Parigi dove un anno dopo scrisse il De admirandis Naturae reginae deaeque mortalium arcanis, dialogo in quattro libri, che sono senz'altro da ritenere il manifesto europeo del libertinismo erudito, che gli causò pesanti sospetti di eresia, che lo indussero a rifugiarsi a Tolosa dove fu inizialmente preposto all'educazione dei figli del primo presidente del Parlamento. Ma Vanini verrà ben presto accusato di eresia e, condotto presso il Parlamento di Francia, dopo un processo di sei mesi, fu condannato al rogo per ordine del Consigliere Catel. Vanini fu arso vivo previo strangolamento e amputazione della lingua, sulla piazza di Tolosa il 9 febbraio 1619.

FONTI

  • Enciclopedia Zanichelli, Milano, 'La Repubblica', 1995.

  • Giulio Cesare Vanini da Taurisano filosofo europeo, a cura di Francesco de Paola, Schena ed., Fasano, 1998.

  • "Concittadini", fascicoli allegati del Quotidiano di Lecce, dicembre 1995.

A cura del dott. Giovanni Greco

In questa sezione visitiamo le biografie dei FILOSOFI EMATEMATICI del Salento

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Sempre su Giulio Cesare Vanini

 

da ; Pagina ufficiale del filosofo Giulio Cesare Vanini (Taurisano, 1585 - Tolosa, 1619).

cfr ; https://www.facebook.com/pages/Giulio-Cesare-Vanini-Pagina-Ufficiale/178079178873215?sk=info&tab=page_info


La Corte ha dichiarato e dichiara il detto Giulio Cesare Vanini colpevole e convinto dei crimini di ateismo, bestemmia, empietà ed altri eccessi risultanti dal processo. Per punizione e riparazione dei quali ha condannato e condanna il suddetto Giulio Cesare Vanini a essere consegnato nelle mani dell’esecutore dell’alta giustizia, il quale lo condurrà su di un carro, in camicia, avendo una corda al collo e un cartello sulle spalle, recante queste parole: “ateo e bestemmiatore del nome di Dio”; e lo condurrà davanti alla porta della Chiesa metropolitana di Santo Stefano, ove, stando in ginocchio, con la testa e i piedi nudi, tenendo in mano una torcia ardente, domanderà perdono a Dio, al Re e alla Giustizia per le suddette bestemmie e successivamente lo porterà nella Place du Salin, e lo legherà a un palo che vi sarà piantato, gli taglierà la lingua e lo strangolerà, e dopo il suo corpo sarà bruciato sul rogo che ivi sarà apprestato e le ceneri gettate al vento”.


Così la sentenza di morte pronunciata dal Parlamento di Tolosa, sabato 9 febbraio 1619.

 

 

Biografia

Nato a Taurisano (Lecce) tra il 19 e il 20 gennaio 1585 da Giovan Battista e da Beatrice López de Noguera, nel 1603 Giulio Cesare Vanini prese i voti con il nome di fra Gabriele nel convento napoletano del Carmine Maggiore e, qualche anno più tardi, il 1° giugno 1606, conseguì la laurea in utroque iure presso il Collegio dei dottori, annesso allo Studio partenopeo. Dopo il febbraio del 1610 si trasferì a Padova nell’intento di seguire i corsi accademici in teologia o forse in artibus, ma il 28 gennaio 1612 le sue aspettative furono bruscamente interrotte da un grave provvedimento disciplinare del generale dell’ordine carmelitano, Enrico Silvio, che mirava a relegarlo in un oscuro convento del Cilento. Associatosi al confratello Giovanni Maria Ginocchio, Vanini preferì tentare la fuga in Inghilterra, dove forse sperava di affermarsi come filosofo-teologo, critico dei principi del Concilio tridentino. La via della fuga fu accuratamente preparata dall’ambasciatore inglese a Venezia, Dudley Carleton, che lo affidò alle cure dell’amico John Chamberlain e lo pose sotto la protezione del potente primate d’Inghilterra, George Abbot, arcivescovo di Canterbury, il quale lo ospitò a Lambeth Palace fin dall’arrivo a Londra, il 20 giugno 1612. L’8 luglio dello stesso anno Vanini pronunciò nella Mercers’ Chapel l’abiura del cattolicesimo.
Il difficile rapporto con Abbot indusse Vanini a riprendere i contatti con il mondo cattolico attraverso l’ambasciatore spagnolo a Londra, Diego Sarmiento de Acuña, e il nunzio di Francia, Roberto Ubaldini. Nel marzo del 1613 egli fece pervenire a Paolo V un memoriale, purtroppo andato perduto, il cui contenuto ci è reso noto da un verbale della Congregazione del Sant’Uffizio (Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, S. O., Decreta 1613, ff. 166 e 168). Sappiamo così che, insieme al confratello Ginocchio, chiese al papa l’assoluzione in foro fori, la liberazione dai voti della religione del Carmelo e la possibilità di vivere in abito secolare o sacerdotale. Le sue proposte furono esaminate dal Sant’Uffizio nelle sedute dell’11 aprile e del 22 agosto 1613 (Decreta 1613, ff. 413-14), in cui il pontefice concesse il perdono previa comparizione spontanea e formale abiura della religione anglicana.
Venuto a conoscenza del suo tentativo di lasciare l’Inghilterra, il 2 febbraio 1614 Abbot pose Vanini agli arresti, dapprima in Lambeth Palace e in seguito (dal 14 febbraio) nella Gatehouse. Il 15 febbraio 1614 lo fece processare davanti alla High commission. Dal verbale della second examination (Archives of the Archdiocese of Westminster, Series A, XII, n. 23, ff. 49-52) sappiamo che egli fu sospettato di aver avuto contatti con i cattolici imprigionati a Newgate, di aver tacciato di antitrinitarismo e di arianesimo il calvinismo e il puritanesimo britannico e di essere miscredente per aver lasciato nella sua cella i libri di Niccolò Machiavelli e di Pietro Aretino «super institutiones» (con evidente riferimento al Principe del primo e al Ragionamento delle corti del secondo).
Fuggito dalla Gatehouse con l’appoggio dell’ambasciatore spagnolo e con il sotterraneo consenso dello stesso Giacomo I d’Inghilterra, Vanini si recò da Ubaldini, chiedendo di pubblicare con licenza della Congregazione del Sant’Uffizio un’Apologia pro Concilio Tridentino, in 18 libri, purtroppo perduta. Ma le autorità ecclesiastiche si dimostrarono interessate, più che a esaminare il testo, a riportare a Roma l’ex transfuga per processarlo nel tribunale del Sant’Uffizio. Tale fu, infatti, il suggerimento del nunzio apostolico (lettera del 31 luglio 1614 all’inquisitore romano, Giovanni Garzia Millini) e tale fu anche la proposta del pontefice (decreto del Sant’Uffizio, datato 28 agosto 1614, Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, S. O., Decreta 1614, ff. 420-21). Ma Vanini si guardò bene dal raggiungere Roma e si fermò a Genova, dove strinse amicizia con Scipione Doria che gli affidò l’incarico di insegnare la filosofia al figlio Giacomo. Il 19 gennaio 1615, a seguito dell’arresto di Ginocchio per ordine dell’inquisitore genovese, intuì di essere nel mirino del Sant’Uffizio. Si affrettò a lasciare la Repubblica e si recò a Lione, dove diede alle stampe l’Amphitheatrum.
Dopo un ulteriore incontro con l’Ubaldini nel luglio del 1615, ruppe definitivamente il legame con il nunzio e cercò protezione e successo negli ambienti di corte e nei circoli libertini che proliferavano nella capitale francese. Parigi gli aprì le porte dell’agognato successo e gli offrì la protezione di personalità di primo piano, quali Arthur d’Épinay de Saint-Luc, François de Bassompierre, Nicolas Brûlart, Adrien de Monluc conte di Cramail e, infine, Henri II duca di Montmorency. All’interno di tale milieu culturale Vanini poté respirare quel clima di libertà intellettuale che lo indusse a dare alle stampe il De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis, stampato da Adrien Perier il 1° settembre 1616. Il libro ebbe un immediato succès de scandale ma, ad appena un mese di distanza dalla pubblicazione, la facoltà teologica della Sorbonne intervenne con una sentenza di condanna (Archives Nationales de France, Reg. MM 251, 1608-1633, f. 68). Costretto a cercare un rifugio più sicuro, Vanini si trasferì nella cattolicissima Tolosa sotto la protezione del Cramail.
Quando ormai la politica di normalizzazione di Luigi XIII non poteva più tollerare le punte estreme del radicalismo di Vanini, Tolosa gli riservò la tragica fine del rogo. Arrestato dai capitouls Paul Virazel e Jean d’Olivier il 2 agosto 1618 e deferito alla Cour de Parlement, il 9 febbraio 1619 fu condannato sotto le vesti di Pomponio Usciglio, forse perché la corte si convinse che il nome Giulio Cesare fosse stato adottato dal filosofo per erigersi a novello Cesare, conquistatore delle Gallie al verbo dell’ateismo. In quello stesso giorno nella Place du Salin il boia eseguì scrupolosamente la sentenza: strappò al condannato la lingua con le tenaglie, lo appese alla forca, lo gettò sul rogo e, infine, sparse al vento le sue ceneri mortali.

 

 

Libri preferiti

- Mario Carparelli, Il più bello e il più maligno spirito che io abbia mai conosciuto. Giulio Cesare Vanini nei documenti e nelle testimonianze, Il Prato, Saonara 2013
- Giulio Cesare Vanini, Morire allegramente da filosofi. Piccolo catechismo per atei, a cura di Mario Carparelli, Il Prato, Saonara 2011
- Giulio Cesare Vanini, Tutte le opere, a cura di Francesco Paolo Raimondi e Mario Carparelli, Bompiani, Milano 2010
- Giovanni Papuli, Studi vaniniani, Congedo, Galatina 2006
- Francesco Paolo Raimondi, Giulio Cesare Vanini nell’Europa del Seicento, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 2005
- Francesco Paolo Raimondi (a cura di), Giulio Cesare Vanini dal tardo Rinascimento al libertinisme érudit, Congedo, Galatina 2003
- Francesco Paolo Raimondi (a cura di), Giulio Cesare Vanini e il libertinismo, Congedo, Galatina 2000
- Giovanni Papuli (a cura di), Le interpretazioni di G. C. Vanini, Congedo, Galatina 1975

 

 

Informazioni personali

"Certamente fu più facile bruciare Vanini che riuscire a confutarlo; perciò, dopo che gli fu tagliata la lingua, si preferì la prima cosa" (A. Schopenhauer).

 

 

Sito Web

 

http://www.treccani.it/enciclopedia/giulio-cesare-vanini_(Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Filosofia)/

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a cura di Giovanni Greco

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