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ORME SULLA SABBIA

di RITA GRECO SCALINCI

 

Di primo acchito si rimane non poco stupiti per la novità di questa prima manifestazione letteraria di Rita Scalinci, anche se, a pensarci bene, la cosa poteva ritenersi abbastanza scontata visto il milieu artistico e culturale in cui la stessa si trova a vivere, con affianco un suscitatore di sollecitazioni artistiche e intellettuali dello spessore di Sandro Greco. Tuttavia la sorpresa è stata piacevolmente intrigante, e conferma l’antica convinzione che in fondo all’animo di ciascun uomo, e di ogni donna, ci sia sempre un sostrato di potenzialità artistiche e poetiche, che, se adeguatamente coltivato e rinvigorito dagli stimoli ambientali, si può esprimere e manifestare con risultati notevoli.

Queste recentissime poesie di Rita Scalinci mi piacciono, al di là di ogni orpello adulatorio e di ogni effetto alone dettato dall’amicizia e dalla stima personale che nutro nei suoi confronti; e mi piacciono perché sono tutte intrise di una delle più rare e ricercate virtù di chi si cimenta con i diversi canoni della letteratura, vale a dire la schiettezza, la spontaneità. Esse, infatti, sono di una naturalezza e di una trasparenza che oserei definire infantili, tanto è nativa e originaria la vena da cui sgorgano senza apparente fatica. Sono espressioni di manifestazioni del suo animo e dei suoi sentimenti colti sul nascere, di effetto immediato, senza alcuna intermediazione intellettualistica e alcun filtro riflesso, che di solito ne stemperano la spontaneità in misura direttamente proporzionale al grado di meditazione dei contenuti e di elaborazione delle forme. Come a dire che quello che l’autrice di questi versi ha nel cuore riesce a riprodurlo direttamente sulla carta, con un moto spontaneo e pressoché irriflesso, quasi fosse l’imprinting immediato di una esigenza interiore irrefrenabile. Nel leggerli, prima ancora della riflessione sui temi e sui contenuti proposti, questi versi suscitano curiosità di carattere motivazionale, fanno interrogare sulla loro genesi, ed evocano immagini e corrispondenze con analoghe proposte artistiche avanzate soprattutto nell’ambito della rappresentazione visiva. In effetti per la loro immediatezza e la loro spontaneità potrebbero far pensare ad un parallelismo con certe sperimentazioni d’arte di alcuni decenni fa, come ad esempio con l’action painting di Jackson Pollock. Senonchè, appuntando meglio lo sguardo, ti accorgi facilmente che il rimando è fuorviante, perché mentre per Pollock l’azione della mano e del pennello riproduceva sulla tela stratificazioni inattingibili dell’inconscio e della parte più istintuale della sua coscienza, le poesie di Rita
Scalinci, invece, riproducono sulla carta i tratti più visibili e più direttamente percepibili dei suoi sentimenti coscienti e consapevoli.

In effetti ciascuno di noi, leggendo questi versi, si ritrova nello stesso punto, nello stesso luogo in cui è nata l’ispirazione dell’autrice, in compagnia del suo stupore incantato per un tramonto pieno di colori e di riflessi luminosi, oppure con la sua gioia frizzante per la carezza flessuosa alla sua gatta, o con il calore inestinguibile che suscita in lei il ricordo della sua mamma, o ancor di più –forse le più belle- con l’entusiasmo schietto e inesauribile con cui confessa il suo affetto, il suo amore, la sua ammirazione per quel bambinone di genio che si ritrova accanto da oltre cinquanta anni, e che non finisce mai di stupirla (di stupirci) e di affascinarla (di affascinarci) con le sue trovate originali, le sue inesauribili invenzioni, la sua intramontabile giocosità infantile, il suo calore umano, il suo affetto-garanzia.

E allora queste piccole e semplici composizioni, che probabilmente non varcheranno le soglie austere delle paludate accademie letterarie, rimandano piuttosto col pensiero ad altri illustri precedenti letterari, per esempio al Pascoli delle piccole cose, dell’amore per la natura, della minuziosa attenzione ai diversi cinguettii degli uccelli, al suo breve gre-gre di ranelle; oppure a certe distese e serene composizioni dei Crepuscolari, di un Corazzini, ad esempio, o ancor di più di un Marino Moretti, le nostalgiche dolcezze dell’infanzia lontana, le bonarie monellerie dei compagni di scuola, le sinuose modulazioni della Signora Lalla; o ancora fanno pensare alle dolcissime poesie di Ada Negri che, nella nostra infanzia, abbiamo imparato a memoria sui sussidiari delle elementari; oppure alle liriche semplici e disadorne di Umberto Saba, che dall’apparente semplicità dei temi (“Tu sei come una giovane / una bianca pollastra…”) sapeva poi calarsi negli anfratti più profondi dell’animo umano.

Ma ancor di più, se ci si consente un altro parallelismo con il mondo dell’arte, io rinvengo in queste poesie la leggerezza e la spontaneità dei pittori naif. Non però quelli segnati dalla inquietante presenza di una cupa minaccia, come per Rousseau il Doganiere, né dalla desolata solitudine cha ha tormentato i giorni del nostro povero Ligabue, ma dei pittori che sulla tela hanno trasfuso la freschezza incantata e luminosa dello stupore primigenio, la freschezza dei naif slavi, come Ivan Generalic o come Kovacic; oppure ancora, e forse meglio, una consonanza con le raffinate miniature monacali del nostro Norberto Proietti. Ecco, si tratta della prima prova letteraria di una poetessa non proprio in erba, che ha scoperto la sua vena espressiva ad una certa età, come Italo Svevo, come Andrea Camilleri. Ma con la freschezza e la gioia dell’opera prima. Per cui abbiamo motivo di ritenere che se Rita Scalinci continuerà a scrivere così, senza lasciarsi allettare
e fuorviare da credo impossibili e improponibili modelli accademici, se continuerà a dare semplicemente ascolto ai suoi sentimenti spontanei e alle sue emozioni immediate, io credo che riuscirà a ricavarsi una piccola nicchia di originalità e di freschezza nel mare tempestoso della letteratura e dell’arte contemporanee.

di Antonio Scandone

 

 

a cura di Giovanni Greco

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a cura del dott. Giovanni Greco

Segue una tesi di laurea (estratto) sui processi industriali della città di Lecce dal 1800 al 1900: l'illuminazione cittadina a carbone, a petrolio, a gas di petrolio (1873) ed elettrica; la tramvia elettrica di Lecce (1898-1933).​

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